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lunedì 24 ottobre 2016

Gli gnocchi alla romana


Ridi, ridi che mamma ha fatto gnocchi ….
Oggi si che c'è da festeggiare, il Calendario del Cibo Italiano celebra gli gnocchi alla romana, un prelibato ed opulento piatto della tradizione romana, almeno stando alla denominazione.
In effetti gli gnocchi e il semolino a Roma ci sono sempre stati, pulte, non pane, vixisse longo tempore Romanos manifestum, non è certo però che gli gnocchi di semolino siano proprio romani.
Gli antichi romani si nutrivano esenzialmente di una polentina di farina, pultis, tanto da essere denominati pultifagi.
Da queste polentine, diffuse del resto più o meno in tutta l'Italia, la nascita poi della prima  pasta, una sorta di gnocco appunto, pezzetti di un semplice impasto di acqua e farina (di semola, di farro, di riso … secondo la disponibilità locale) bolliti o fritti.
Gli gnocchi di patate, infatti, sono un'invenzione recente, si sono diffusi solo a partire dall' 800 a seguito della difficoltosa introduzione nell'alimentazione europea del tubero arrivato dalle Americhe, lo gnocco in precedenza era impastato solo con farina o  pane variamente arricchiti.
Che poi gli gnocchi di semolino siano proprio romani pare invece opinabile.
L'Artusi include gli gnocchi alla romana nel suo Ricettario distinguendoli da quelli di semolino descritti in un paragrafo separato, Ada Boni, ne La Cucina Regionale Italiana, annovera gli gnocchi di semolino tra i piatti regionali del Lazio, mentre non sono inseriti nella Roma in Cucina di Carnacina e Buonassisi.
Infatti secondo alcuni il piatto non sarebbe propriamente romano soprattutto per il largo uso di burro condimento inusuale per la cucina laziale, addirittura potrebbe avere origini piemontesi o transalpine. In Francia si preparano gli gnocchis à la florentine, fatti con semola e latte, che, per qualche snodo della Storia, potrebbero giunti a Roma da Parigi partendo da Firenze,  dai cuochi di Caterina dé Medici.
Ma non stiamo ad  arrovelliarci sulla storia, meglio gustare un confortevole piatto di gnocchi alla romana.
Nell'articolo della nostra ambasciatrice e mia amica Serena Bringheli, del blog Cucina Serena, tanto altro ancora sugli gnocchi alla romana e, sicuramente, una romanissima e bellissima ricetta.

200 g di semolino
¾ di litro di latte
80 g. di burro
2 tuorli d'uovo
sale
parmigiano

In una pentola larga e bassa portare ad ebollizione il latte, mescolando con una frusta a mano, versare a pioggia il semolino. Attenzione a che non si formino grumi.
Cuocere a fuoco lento per mezz'ora sempre mescolando. Quando il semolino si sarà addensato condirlo fuori dal fuoco con i tuorli, un pizzico di sale, una noce di burro e due cucchiaiate di parmigiano grattugiato.
Mescolare bene, stendere il composto su un vassoio leggermente bagnato ad uno spessore di circa un centimetro livellando bene, lasciare raffreddare.
Quando il semolino sarà freddo con l'aiuto di un coppapasta ritagliarlo in tanti dischetti.
Sistemare gli gnocchi di semolino in una teglia unta di burro formando un primo strato con i ritagli, condire con abbondante parmigiano grattugiato, continuare con altri gnocchi questa volta usando i dischetti di semolino, ed ancora parmigiano grattugiato fino ad esaurimento degli ingredienti, irrorare gli gnocchi con il restante burro fuso. Infornare a 180° in forno ventilato già a temperatura per mezz'iora, gli gnocchi assorbiranno il burro e si doreranno dolcemente.


La ricetta è tratta da La Cucina Regionale Italiana, Ada Boni, Newton, 1985

Per il post mi sono documentata qui:
https://it.wikipedia.org/wiki/Alimentazione_nell%27antica_Roma 
Plinio Naturalis Historiae, XVIII libro, vv.83-84 citato da wikipedia
Thesaurus Juris Romanis consultato qui:
https://books.google.it/books?id=qYJlAAAAcAAJ&pg=PA249&lpg=PA249&dq 
http://cucina.corriere.it/cucinaintro/lazio/7/introduzione_6028ed26-221f-11df-8195-00144f02aabe.shtml
https://it.wikipedia.org/wiki/Gnocchi
http://www.taccuinistorici.it/ita/news/medioevale/paste-cereali/storia-degli-gnocchi.html
http://sorrentinoluigi.blogspot.it/2014/01/gli-gnocchi-alla-romana-di-pellegrino.html

 http://www.aifb.it/calendario-del-cibo/

venerdì 16 settembre 2016

I maritozzi per il Calendario del Cibo Italiano


Morbida pasta lievitata piena di tanta panna, il maritozzo, è uno dei più popolari dolci da colazione romani, forse, il dolce per eccellenza almeno nell'immaginario collettivo.
Romano de Roma, pare abbia origini antichissime radicate nella tradizione culinaria romana.
Pagnotte lievitate, addolcite da miele e uva passa erano preparate già nell'antica Roma.
Nel medioevo, panini dolci arricchiti da uvetta, pinoli e canditi erano consumati soprattutto in quaresima. Questi pani, detti santi maritozzi,, ancorché ricchi e dolci, si conformavano alle rigide regole della cucina penitenziale, di magro, perché senza carne, uova e latticini, e potevano essere consumati tranquillamente, ovviante da chi poteva permetterselo.
Successivamente, i maritozzi, imbelliti da ricami zuccherini, simbolici, divennero pegno d'amore da regalare alla fidanzata in una sorta di San Valentino ante litteram, e qualche volta celavano un anello.
Forse anche da qui, omen nomen, maritozzo.
Con questo post partecipo alla Giornata Nazionale del Maritozzo del Calendario del Cibo Italiano AIFB. Nell'articolo della nostra ambasciatrice Silvia Ferrante del blog Tra fornelli e pennelli, molto di più sui maritozzi e bellissime ricette


500 g. di farina manitoba
40 g. di olio EVO
45 g. di burro morbido
75 g. di zucchero
2 uova
20 g. di lievito di birra sbriciolato
50 g. di latte condensato
110 g. di acqua a temperatura ambiente
1/3 di baccello di vaniglia

per la glassa
100 g. di zucchero a velo
30 g, di acqua

per la panna
500 g. di panna da montare
50 g. di zucchero
1/3 di baccello di vaniglia

per completare
zucchero a velo

Sistemare nella ciotola del kenwood tutti gli ingredienti tranne l'acqua, impastare con la frusta a gancio, velocità 1 – 2, fino ad ottenere un composto sodo, unire in due o tre riprese l'acqua e continuare ad impastare a velocità 2 per circa 15 minuti. Al termine l'impasto sarà liscio, omogeneo e ben incordato.
Sistemare l'impasto in una capiente ciotola protetta da pellicola per alimenti e lasciare lievitare in forno con la lucetta accesa per circa un'ora o, comunque, fino al raddoppio.
Formare i maritozzi tagliando la pasta a pezzi di circa 60 g. l'uno. Arrotondare i pezzi formando delle palline, quindi, allungarle leggermente in forma ovale.
Sistemare i maritozzi su carta da forno e lasciarli levitare coperti (con uno strofinaccio in tessuto leggero e ben inumidito) in forno con la lucetta accesa per circa un'ora e mezza, devono triplicare.
Al termine preparare la glassa mescolando lo zucchero a velo e l'acqua con un frustino e glassare la superficie dei maritozzi. Cuocere in forno statico già a temperatura a 180° per 10 – 12 minuti, avendo cura di ruotare la teglia a metà cottura.
Lasciare raffreddare.
Incidere a metà i maritozzi lasciando la base integra.
Montare la panna con lo zucchero e i semini.
Farcire i maritozzi con la panna, decorare con zucchero a velo.
E io ci ho aggiunto pure una bella amarena, la panna era sola soletta, voleva compagnia :-)

La ricetta è di Salvatore De Riso, questi maritozzi non saranno proprio romani ma sono tanto buoni ve lo assicuro :-)

Per il post mi sono documentata qui:
https://it.wikipedia.org/wiki/Maritozzo
https://www.gustosamente.it/maritozzo-romano-e-la-sua-gustosa-storia/



http://www.aifb.it/calendario-del-cibo/

venerdì 27 maggio 2016

Crostata di ricotta e visciole



Le proibizioni aguzzano l'ingegno, generano invenzioni è scoperte … questo è forse il caso della crostata di visciole che pare sia stata creata proprio per eludere un divieto.
Nel 1775 la condizione, già dura, degli ebrei romani fu inasprita dall'“Editto sopra gli Ebrei” che, tra l'altro, faceva divieto agli ebrei di vendere pane latticini e carne ai cristiani.
La norma, formalmente motivata dal timore del diffondersi delle abitudini alimentari ebraiche tra i cristiani, nascondeva in realtà un intento protezionistico. Al tempo la vendita di pane, carne e latticini ai non ebrei era particolarmente fiorente, tali alimenti, proprio perché prodotti nel rispetto di precise, rigide, regole di preparazione, raccolta e selezione delle materie prime, erano ritenuti più sani, più puliti e più buoni, in definitiva migliori di quelli che offriva il mercato non kasher e, quindi, erano molto richiesti.
Allora cosa fare per eludere il divieto? Si penso di nascondere la pregiata ricotta tra due strati di pasta, in una crostata, in modo da poter superare i controlli delle guardie papali … almeno questa è la leggenda.
La crostata, rustica e bruciacchiata, col suo morbido, candido, ripieno è ancora prodotta nel rispetto delle regole kasher nei forni del ghetto, e in uno in particolare, la ricetta però è rimasta segreta.
Quale sia l'alchimia che nasconde il famoso forno in via Portico d'Ottavia, non è dato saperlo, di certo la sua crostata di ricotta e visciole è unica e inimitabile, possiamo provare a riprodurre i sapori …. ma l'originale è un'altra cosa.
Nella pagina dedicata al calendario l'articolo della nostra ambasciatrice Tamara Giorgetti con ancora molto altro sulla crostata di visciole e la sua storia e, sicuramente, una bellissima ricetta.

per la frolla
400 g di farina
200 g di zucchero
200 g di burro
4 uova, solo i tuorli
scorza di limone
sale

Per il ripieno
400 g di ricotta romana di pecora
140 g di zucchero
2 uova
2 cucchiai di sambuca, a piacere
1 barattolo di confettura di visciole, circa 350 g.

per completare
zucchero a velo

Sistemare la ricotta in un colino, lasciarla in frigo a scolare anche per tutta la notte.
Nel kenwood, frusta K, velocità 1 – 2, amalgamare velocemente il burro (freddo) a pezzetti con la farina fino ad ottenere uno sfarinato, unire lo zucchero, l'uovo, i tuorli e il sale, azionare ancora la planetaria a velocità 1 – 2 per pochi secondi giusto il tempo di compattare tutto. Si otterrà un impasto compatto ma ancora bricioloso. Avvolgere la pasta frolla in una pellicola di plastica e lasciare riposare in frigo per almeno 4 ore, meglio una notte intera, finché non sarà rassodata.
Sistemare la ricotta in una ciotola, lavorarla, con l'aiuto di una spatola da pasticceria, con lo zucchero, accuratamente. Aggiungere il liquore, la cannella, la scorza di limone, solo alla fine le uova.
Con l'aiuto di un mattarello stendere i due terzi della pasta sul piano di lavoro leggermente infarinato portandola allo spessore di 3 – 4 mm. Rivestire il fondo e i bordi di una tortiera di circa 26 cm di diametro imburrata ed infarinata. Sul fondo sistemare la confettura in un solo strato quindi versarvi sopra la crema di ricotta.
Stendere la pasta rimasta, ricavare con l'aiuto di una rotella dentellata delle striscioline con cui rivestire la crostata formando il classico motivo a grata.
Cuocere in forno statico, già a temperatura a 170°C per circa 1 ora.
Sfornare, lasciare raffreddare, attendere che sia ben fredda prima di tagliarla.
Servire la crostata con una spolverata di zucchero a velo
La ricetta è dello Chef kasher Laura Ravaioli ed è possibile consultarla qui.


Per il post mi sono documentata qui:
 
 http://www.aifb.it/calendario-del-cibo/

martedì 24 maggio 2016

Penne all'arrabbiata


Il Piave mormorava calmo e placido al passaggio
d
ei primi fanti il ventiquattro maggio;
l’Esercito marciava per raggiunger la frontiera
per far contro il nemico una barriera ...
Muti passaron quella notte i fanti;
tacere bisognava e andare avanti.
S
’udiva intanto dalle amate sponde,
s
ommesso e lieve il tripudiar dell’onde.
Era un passaggio dolce e lusinghiero.
Il Piave mormorò: Non passa lo straniero

Questi i versi dell'eclettico poeta, musicista e compositore autodidatta, postale, napoletano, Giovanni Gaeta, più noto come E. A. Mario, scritti di getto dopo la battaglia del solstizio che, giunta ai combattenti tramite tradotta postale servirono, a detta del Generale Armando Diaz a dare coraggio ai soldati ed aiutare lo sforzo bellico “più di un generale”.
La canzone colse l'anima di una nazione colpita dalla disfatta di Caporetto e, ora, l'orgogliosa per la riscossa, radicandosi così profondamente da essere poi, in tempi luoghi e condizioni completamente diverse, adottata provvisoriamente come inno nazionale italiano durante il periodo costituzionale transitorio.
Il 24 maggio di 101 anni fa l'Italia entrava in guerra, il Calendario vuole ricordare questa data, alla sua maniera, celebrando le penne, quelle nere, gli alpini, che tanto si distinsero nella grande guerra proprio sul fronte nord–est, simbolicamente, attraverso quelle gialle, quelle che si cucinano che rappresentano in tutto il mondo un simbolo dell'Italia.
In effetti questa tipologia di pasta deriva il proprio nome dal caratteristico taglio obliquo a pennino che era proprio proprio delle penne quando si usavano per scrivere … stiamo proprio risalendo la storia :-)
E come le prepariamo queste penne, patriotticamente con i colori della bandiera! Verde del prezzemolo, bianco del formaggio e rosso del pomodoro.
All'arrabbiata, perché sono anche le sconfitte a motivare le vittorie :-)
Con questo post partecipo alla Giornata Nazionale delle Penne (Il Piave mormorava) del Calendario del Cibo Italiano AIFB. Nell'articolo della nostra ambasciatrice Ilaria Talimani, un sicuramente bellissimo e interessante approfondimento e buonissime ricette.

350 g di penne
600 g di pomodori pelati
2 spicchi d'aglio
3 cucchiai di olio extravergine di oliva
4 cucchiai di Pecorino
1 peperoncino
prezzemolo
sale e pepe

Sbollentare, pelare, privare dai semi e tagliare a cubetti i pomodori.
Rosolare l'aglio tritato e il peperoncino nell'olio, aggiungere i pomodori e cuocere per cinque minuti.
Cuocere le penne in abbondante bollente acqua salata, scolare al dente, condire con la salsa, cospargendo con pecorino e prezzemolo tritato.


La ricetta è presa qui

Per il post mi sono documentata qui:

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