venerdì 29 aprile 2016

Le monachine



Napoli un tempo pullulava di conventi e monasteri femminili, tutto il centro storico, partendo dai Tribunali fino a Piazza Dante ed oltre, ne era pieno. Luoghi, spesso di clausura, popolati da donne che per vocazione, per necessità, per consuetudine o per devozione, avevano scelto una vita votata alla contemplazione, alla meditazione e alla preghiera.
Proprio i conventi divennero, tra il cinquecento e l'ottocento, le migliori e più grandi pasticcerie napoletane dando vita a pregiatissimi e prelibati dolci, evocativi di piaceri terreni lontani dalla rigore della vita monastica, che in grandissima parte ancora oggi conosciamo e apprezziamo.
Del resto l'attività delle suore pasticcere era “giustificata”, i dolci si producevano solitamente per determinate ricorrenze o periodi dell'anno legati a una festività religiosa e si distribuivano, con indubbia approvazione sociale, o si regalavano alle persone incaricate del “servitio di fuora”, o per guadagnarsi favori, e anche per risolvere liti ….. il dolce, addolciva :-)
Col tempo la produzione dolciaria divenne anche fonte di reddito per i conventi che continuarono a praticarla in via istituzionale, specializzandosi.
Così nel convento del Divino Amore si producevano i dolcetti omonimi, il convento di S. Maria Maddalena era famoso per la pasta reale, le benedettine di S. Gregorio Armeno per la torta di rosa, il convento di S. Maria Regina Coeli per la sfogliatona, il monastero della SS. Trinità per la torta di bocca di dama, quello di S. Chiara per i raffioli, le zeppole i mostaccioli e il sanguinaccio, le monache della Croce di Lucca per gli struffoli, il convento delle Trentatrè per le monachine.
La monachina è un dolce di pasta sfoglia ripiena di crema ed amarene, probabilmente la progenitrice della più celebre ed elaborata sfogliatella Santa Rosa inventata nell'omonimo convento di Amalfi, pare, infatti che tra conventi, tra badesse, spesso imparentate, vi fosse una certa circolazione di consigli e ricette.
Eccone la ricetta originale, trascritta da una “monachina” come ci è stata riportata dal poeta Salvatore di Giacomo.

Prendi il sciore e mettilo sopra il tagliero nella quantità di rotolo mezzo. Mettici un pocorillo d’insogna e faticalo come un facchino. Doppo stendi la tela che n’e riuscita e fanne come se fosse una bella pettola. In mezzo alla pettola mettici un quarto d’insogna ancora, e spiega a scialle, 4 volte d’estate; 6 volte d’inverno. Tagliane tanti pezzi, passaci il laganaturo e dentro mettici crema e cioccolata o se più ti piace ricotta di Castelllammare. Se ci metti un odore di vaniglia o pure acqua di fiori e qualche pocorillo di cedro, fa cosa santa. Fatta la sfogliata, lasciala mezza aperta e mezza ‘nchiusa da una parte e dove lì scorre la crema facci sette occhi piangenti con sette amarene o pezzulli di percocata. Manda tutto al forno, fa cuocere lento, mangia caldo e alliccate le dita

Attualmente la monachina è principalmente un dolce da colazione, una sfoglia a forma di mezzaluna che racchiude completamente il ripieno, io ne ricordo una versione da pasticceria, una classica “pasta” domenicale a forma triangolare nella quale, come nella descrizione della “monachina” di Salvatore di Giacomo, la crema e l'amarena fuoriuscivano dal dolce.
Una sfoglia chiusa su un lato e aperta sugli altri due, ma come si farà mai? Forse ci vuole qualche stampo particolare, antico, ormai dimenticato ….
Ma no, signò, vulit fà e monachin, nun c' vo' nient … è facile” così il mio maestro, dall'alto della settantennale pratica di pasticceria, mi ha svelato l'arcano :-)
Con questo post partecipo alla Giornata Nazionale dei dolci del convento (s.Caterina da Siena) del Calendario del cibo italiano AIFB di cui è ambasciatrice Aurelia Bartoletti. Nel suo articolo meravigliose storie sulla pasticceria conventuale e, sicuramente, stupende ricette.

monachine
500 g. di pasta sfoglia
1 uovo

crema pasticcera di Maria Grammatico
2 tuorli d'uova
150 g. di zucchero
40 g. di amido (di grano o di mais)
½ l di latte
la buccia di mezzo limone grattugiata

per completare
amarene
zucchero a velo


Preparare la crema pasticcera
In un tegame pesante, sbattere insieme i tuorli e lo zucchero con una frusta. Sciogliere l'amido in mezzo bicchiere del latte, poi aggiungerlo al latte rimanente, mescolando bene. Versare il tutto lentamente nel tegame con i tuorli, mescolando bene con la frusta.
Cuocere a fiamma bassa, mescolando continuamente, per 10 - 12 minuti finché non diventi molto spesso come un budino. Incorporate la buccia grattugiata.
Versare in una terrina e coprite con la pellicola, facendo sì che la pellicola posi direttamente sulla crema, e lasciare raffreddare.
Stendere la pasta sfoglia non troppo sottile (io ho usato della pasta sfoglia già stesa pronta e di ottima qualità).
Ritagliare con precisione dei quadrati (ho usato un coppapasta).
Sbattere l'uovo, pennellare l'interno dei quadrati, chiuderli sovrapponendo gli angoli opposi, ottenendo così tanti triangoli, non premere.
Sistemare su una teglia protetta da carta da forno.
Cuocere in forno statico già a temperatura a 200° per circa 15 minuti, devono dorare.
Lasciare raffreddare bene.
Una volta fredde con l'aiuto di un coltello riprendere la linea di separazione tra i due bordi che in cottura si saranno uniti senza sigillarsi, infilare con delicatezza la lama del coltello non per incidere ma per praticare una pressione, la monachina, con un po' dii aiuto si aprirà a conchiglia.
Riempire con crema pasticcera decorare con zucchero a velo e amarene.



Per il post mi sono documentata qui:

La ricetta della crema pasticcera è tratta da Mandorle Amare di Maria Grammatico e Mary Taylor Simeti
La citazione di Salvatore di Giacomo è tratta da La cucina della Campania di Anna e Piero Serra

http://www.aifb.it/calendario-del-cibo/

giovedì 28 aprile 2016

I cannoli alla siciliana


Oggi è di scena la maestosità del cannolo siciliano.
Tripudio di sapori, aromi e consistenze, questo dolce rappresenta il punto d'incontro delle molteplici culture che, nel tempo, si sono avvicendate in Sicilia.
Pare infatti che già in epoca romana, si conoscesse un dolce di forma tubolare ripieno di ricotta. Proprio Cicerone, nel periodo in cui fu questore di Lilybeo, l'odierna Marsala, ebbe modo di assaggiare questo dolce, forse di origine greca, descrivendolo come “tubus farinarius, dulcissimo, edulio ex lacte factus .
Durante la dominazione saracena lo stesso dolce sarebbe stato arricchito dall'arte pasticcera araba.
Secondo la leggenda le favorite dei sultani, relegate negli harem di Kalt El Nissa,  appunto il Castello delle donne, l'attuale Caltanissetta, tra una visita e l'altra dei loro consorti, pare si dedicassero alla cucina elaborando raffinati manicaretti.
E proprio a Caltanissetta, secondo sarebbe nato il cannolo siciliano, ma in un convento!
Come si spiega questa commistione tra sacro e profano che dall'assaggio del dolce è estremamente evidente?
Il Duca Alberto Denti di Pirajno, cultore di gastronomia siciliana, nel suo libro Siciliani a Tavola ne fornisce una spiegazione ancora una volta leggendaria:
Quando la potenza araba in Sicilia fu scardinata dagli invasori normanni, gli emiri si dileguarono, gli harem si vuotarono, abiure e conversioni diradarono le file dei seguaci del Corano e non si può escludere che qualcuna fra le ospiti dei ginecei distrutti, tòcca dalla grazia, sia finita in qualche monastero portando con sé le ricette che avevano fatto la delizia del proprio signore, trasmettendo le da suora a suora sino a noi, poveri peccatori”.
Quante storie, culture, anime si nascondono dentro un dolce, quanto studio, quanti percorsi e quanti secoli per farne la sublime quintessenza della Sicilia.
Con questo post partecipo alla Giornata Nazionale del Cannolo Siciliano del Calendario del Cibo Italiano, di cui è ambasciatrice Tamara Giorgetti.
Andiamo a leggere, nella pagina dell'AIFB dedicata al Calendario, l'articolo che Tamara ha preparato, sarà pieno di informazioni, notizie e storie interessanti e sicuramente una bellissima ricetta.

Per i cannoli
165 g di farina
25 g di strutto a temperatura ambiente
25 g di zucchero
65 g di vino bianco dolce

Per la farcia:
500 g di ricotta di pecora
140 g di zucchero semolato
60 g di zucchero a velo
canditi
gocce di cioccolata
per completare
pistacchio tritato
zucchero a velo

olio di arachidi per friggere

Il giorno prima sgocciolare bene la ricotta, lasciandola in frigo, in colino, coperta, anche una notte intera.
Il giorno dopo montare con l'aiuto di uno sbattitore o a mano con la frusta la ricotta con gli zuccheri, unire le gocce di cioccolata e, se piacciono, i canditi a pezzetti.
Nella planetaria, velocità 1, impastare farina, strutto, zucchero e vino, lavorare per 5 minuti. Avvolgere la pasta in una pellicola, lasciarla riposare in frigo almeno 30 minuti.
Al termine del riposo stendere l'impasto sottile, ritagliare dei dischi, 7 – 8 cm di diametro per i mignon, 12 – 14 per i cannoli veri e propri.
Avvolgere ogni disco sulle forme tubolari leggermente unte, bagnare la chiusura con poco albume, chiudere i cannoli.
Scaldare l’olio e friggere 3-4 cannoli alla volta. Sistemare i cannoli man mano che si scolano su carta da cucina, lasciarli raffreddare, estrarre le forme tubolari quando saranno ben raffreddate ed eventualmente riutilizzarle per friggere altri cannoli.
Trasferite la crema di ricotta in un sac à poche con bocchetta tonda piccola e riempire i cannoli.
Completare con granella di pistacchio e zucchero a velo.
La ricetta è presa qui.


http://www.aifb.it/calendario-del-cibo/ 

https://it.wikipedia.org/wiki/Cannolo#cite_note-libero.it-4 che cita Alberto Denti di Pirajno, Siciliani a Tavola, Longanesi &C
http://www.esplorasicilia.com/blog-sicilia/ricette-di-cucina-siciliane/cannoli-siciliani.php che cita Alberto Denti di Pirajno, Siciliani a Tavola, Longanesi &C

mercoledì 20 aprile 2016

Il risotto alla parmigiana

 
Oggi il Calendario del Cibo Italiano celebra un grande classico della cucina italiana, il risotto.
Italiana per eccellenza, la tecnica di cottura del riso a risotto è assolutamente unica e non ha riscontro nelle tradizioni gastronomiche di altri paesi.
Più che un piatto, con l'espressione risotto si intende una tecnica di cottura del riso e, quindi, la molteplicità di preparazioni che con essa possono essere realizzate.
Si racconta che il termine risotto abbia avuto origine dall'esclamazione “risus optimus!” successiva all'assaggio della preparazione di riso giallo, fortunosamente realizzata nella “fabbrica del Duomo”, secondo la leggenda il primo risotto.
Più realisticamente la denominazione è da ricercare nei dialetti della bassa padana e dovrebbe indicare appunto una preparazione di riso cremosa, più o meno densa, e mai brodosa.
La sua caratteristica principale è, infatti, il mantenimento dell'amido che gelatinizzandosi per effetto della cottura, lega i chicchi tra loro in un composto di tipo cremoso
Il procedimento per la preparazione dei risotti prevede quattro operazioni fondamentali: soffriggere, tostare, cuocere, mantecare.
Il riso deve essere in primo luogo preriscaldato attraverso la tostatura, quindi, la cottura continua, a fuoco basso, con aggiunte progressive e controllate di liquido al fine di consentire l'assorbimento dello stesso da parte dei chicchi di riso mantenendone, però, equilibrata l'umidità. A cottura, il riso ancora bene al dente e piuttosto umido si toglie dal fuoco per essere lavorato con burro e parmigiano, la mantecatura completa il risotto conferendo l'inconfondibile cremosità.
Il vero risotto, infatti, crea l'onda, espressione lombarda che si riferisce alla consistenza che deve presentare al momento in cui viene servito, non troppo liquido né eccessivamente compatto, in modo che agitando la casseruola si formi appunto un'onda.
Mediante l'aggiunta di ingredienti diversi al riso all'inizio, a metà o a termine della preparazione si ottengono una molteplicità di preparazioni.
Il risotto alla parmigiana o riso bianco al parmigiano rappresenta in maniera paradigmatica la tecnica della cottura del riso a risotto. Si tratta di una ricetta base, con pochi essenziali, ingredienti, da arricchire secondo i gusti dando vita a una molteplicità di risotti.
Mai come in questo caso è l'eccellenza degli ingredienti a garantisce la bontà del piatto.
Con questo post partecipo alla Giornata Nazionale del risotto alla parmigiana, nell'articolo della nostra ambasciatrice Lorenza Lisanti che possiamo leggere qui, storia, tradizioni, curiosità e bellissime ricette.

320 g. di riso carnaroli
100 g. di burro
1 l di brodo di carne
½ cipolla
1 dl. di vino bianco
40 g. di parmigiano grattugiato 
 
Sbucciare la cipolla, lavarla e tritarla, lasciarla appassire dolcemente in una casseruola con 60 g. di burro senza farla dorare.
Aggiungere il riso, lasciarlo tostare, sfumare col vino e portare a cottura unendo brodo bollente un mestolo alla volta.
Spegnere la fiamma, mantecare il risotto con il parmigiano e il burro rimasto. Lasciarlo riposare per qualche minuto a tegame coperto. Servire caldo.
Decorare con prezzemolo e cialde di parmigiano.

Per la ricetta Enciclopedia della cucina italiana La biblioteca di Repubblica

Per il post mi sono documentata qui:
Enciclopedia della cucina italiana La biblioteca di Repubblica
http://www.risotto.it/ 

http://www.aifb.it/calendario-del-cibo/

venerdì 15 aprile 2016

La mattina mi colaziono la minestra .... pasta riposta e rifatta, Totò e la cucina della fame



Quante volte, a sera tardi, al termine di uno spettacolo, nei lunghi anni della gavetta, si sarà ritrovato davanti un piatto di pasta riposta, avanzata da pranzo, appositamente conservata, attesa.


Magari una pasta e fagioli come questa …. il suo piatto preferito.
L'abitudine di cucinare in più la pasta, conservandola per altri pasti è propria degli anni della povertà, della miseria, tra il primo e secondo dopoguerra, quando, soprattutto in determinati contesti sociali, era già tanto se si riusciva a mettere insieme, in un giorno, un unico pasto, che nella Napoli “mangia maccheroni” era rappresentato dall'alimento base, la pasta, sostanziosa, a buon mercato, confortevole e saziante. Un unico piatto che, se avanzava, veniva consumato nel corso della giornata, la sera a cena ma anche la mattina.
Questo Totò lo sapeva bene, e battute come “La mattina mi colaziono il minestrone” … “noi nel caffellatte non mettiamo niente: né caffè, né latte” non sono buttate lì, a caso, per raccogliere una risata, ma hanno un significato reale, quotidiano, drammatico e dirompente.
Io so a memoria la miseria, e la miseria è il copione della vera comicità.
Non si può far ridere se non si conoscono bene il dolore e la fame, il freddo, l'amore senza speranza, la disperazione della solitudine di certe squallide camerette ammobiliate alla fine di una recita in un teatrucolo di provincia; e la vergogna dei pantaloni sfondati, il desiderio di un caffellatte, la prepotenza esosa degli impresari, la cattiveria del pubblico senza educazione. Insomma non si può essere un vero attore comico senza aver fatto la guerra con la vita”.
Totò la fame, quella vera, “che fa cascare morti” l'aveva patita e la rappresentava, anche negli anni del benessere, empaticamente, esorcizzandola.
Memorabile è il dialogo tra Pasquale e Felice Sciosciammocca (che posiamo rivedere qui) denso di richiami evocativi alla fame e, insieme un'unica, indimenticabile celebrazione del cibo.
In questa Giornata, con Totò, il nostro Calendario celebra la Fame, e, attraverso di lei, simbolicamente, il cibo.
Dalla fame, infatti, dall'arte trarre il massimo dalle risorse a disposizione, che, sembra sembra quasi contraddittorio, nascono le migliori prelibatezze.
Con questo post partecipo alla Giornata Nazionale di Totò del Calendariodel Cibo Italiano AIFB, nell'articolo della nostra ambasciatriceLucia Melchiorre, che possiamo leggere qui, storia, curiosità aneddoti sul grande Totò e bellissime ricette.


La pasta e fagioli no …. sono un signore, non posso mangiare queste cose, devo mangiare la maionese
 

500 g. di fagioli precedentemente ammollati e lessati, io ho usato i canari perché “sono fagioli con l'occhio
due manciate di spaghetti spezzati
1 sedano
1 ciuffo di basilico
5 pomodori datterini
aglio
olio extravergine di oliva
peperoncino

In una capiente pentola soffriggere il sedano tagliato a pezzettini in due cucchiai di olio e qualche spicchio di aglio, mescolare. Dopo 5 minuti unire i pomodorini a pezzetti, il basilico e il peperoncino. Continuare la cottura a fuoco moderato, mescolando di tanto in tanto, per circa 15 – 20 minuti, quindi aggiungere tre quarti dei fagioli con la loro acqua, amalgamare, aggiustare di sale.Cuocere ancora per 10 minuti da quando riprende il bollore. Passare tutto nel passaverdure, rimettere sul fuoco insieme ai fagioli interi rimasti, uniretre o quattro mestoli di acqua bollente.
Quando la minestra riprende il bollore calare la pasta. Portare a cottura, completare con qualche fogliolina di basilico fresco, servire con un filo di olio extravergine. Servire tiepida o fredda.
É buona anche il giorno dopo.

Al naturale ....
 

o saltata in padella, con la scorzetta, non antiaderente con olio o, per un'esperienza strong, con sugna ...


La ricetta della pasta e fagioli è presa, con qualche modifica, da Fegato là, fegato qua, fegato fritto e baccala di Totò curato da Liliana de Cursti e Matilde Amorosi

http://www.aifb.it/calendario-del-cibo/

Per il post mi sono documentata qui:
Siamo uomini o caporali. Psicologia della disobbedienza, Salvatore Cianciabella, che ho consultato qui
Il genio della necessità. Una storia della cucina napoletana di Juan Pablo de Gangi, che ho consultato qui
La grande abbuffata: percorsi cinematografici tra trame e ricette, Livio Giorgioni, Federico Pontiggia, Marco Ronconi, che ho consultato qui
e ancora qui e qui.

mercoledì 13 aprile 2016

La carabaccia per il Calendario del Cibo Italiano


La carabaccia è una tradizionale zuppa di cipolle fiorentina, delicata, gustosa e salutare.
Si tratta di un piatto antichissimo, risalente probabilmente al medioevo se non addirittura all'epoca romana, dove era già consuetudine cucinare le cipolle in zuppa.
La prima testimonianza storica, in Toscana, di una zuppa di cipolle denominata carabazada risale alla prima metà del XVI secolo nel "Libro novo nel quale s'insegna a far d'ogni sorta di vivande" di Cristoforo Messisburgo.
Il particolarissimo nome, carabazada, sembra derivare dal termine greco καραβος, barca a forma di guscio, che nel tempo, è passato ad indicare, per somiglianza di forme, la zuppiera e, in seguito, per traslazione il suo contenuto, la zuppa che, con la denominazione, carabazada, era già nota nella delle corti medicee in epoca rinascimentale e presente nei ricettari dell'epoca.
Quando Caterina de' Medici, notoriamente amante della buona tavola, si trasferì in Francia per sposare Enrico II, non volle separarsi dai sapori della sua terra, e portò con sé, come seguito nuziale, dalla Toscana a Parigi, pasticceri, cuochi e ….. persino un gelataio.
Così arrivarono alla corte francese ancora legata ai canoni della cucina medioevale, prelibatezze sconosciute, ricette che, divenute in breve tempo popolari, furono rielaborate e arricchite dai cuochi francesi ponendo così le basi della moderna cuisine française.
L'anatra all'arancia, le crépes, le omelettes e perfino la besciamella derivano dalle ricette toscane portate “in dote” in Francia da Caterina de' Medici.
E anche la semplice carabaccia ha dato vita a una “nobile” discendenza francese: niente di meno che la celeberrima suope d’oignon.
Così un matrimonio regale ha determinato un connubio di cucine!
Ma di questo e tanto altro ancora ci parlerà la nostra ambasciatrice Tamara Giorgetti che, da toscana, ci spiegherà ancora molte altre cose sulla carabaccia, il cibreo e sul ruolo di Caterina de' Medici nella storia della cucina nell'articolo troviamo qui, e che vi invito a leggere.

500 g. di cipolle bianche
100 g, di mandorle
1 spicchio d'aglio
olio extra vergine di oliva
brodo

In un capiente tegame far imbiondire uno spicchio di aglio in un cucchiaio di olio. Aggiungere le cipolle sbucciate e tagliate a fettine sottili, cuocere a fiamma dolce, per circa 20 minuti. Unire le mandorle sbucciate e tritate, cuocere ancora per altri 20 – 25 minuti finché le cipolle non saranno ben cotte, aggiungendo, se necessario, un po' di brodo caldo quanto basta per ottenere una zuppa piuttosto densa, corposa.
Salare, pepare, servire aggiungendo un filo di olio di oliva crudo.



La ricetta è presa qui
http://www.aifb.it/calendario-del-cibo/

per il post mi sono documentata qui: 
http://www.carabaccia.it/
http://www.menuturistico.com/2014/03/per-il-piatto-storico-la-carabaccia-di-leonardo.html
https://fr.wikipedia.org/wiki/Soupe_%C3%A0_l'oignon
http://www.wibo.it/mediawiki/index.php/Carabaccia
http://archive.is/7RcC
Leo Codacci, Le ricette di una regina, che ho consultato qui

domenica 10 aprile 2016

Quanti modi di fare e rifare i panzarotti


I panzarotti …. ma da quanto tempo!
Forse dal famoso torneo di crocchè che organizzammo tanto tempo fa con mia cugina, una mitica tenzone nella quale ne abbiamo fritti e mangiati tanti tanti … o forse qualche anno dopo, quando, in un' altra occasione sempre con lei, in dolce attesa, friggemmo l'inverosimile …. quanti bei ricordi :-)
Sarà per gli stravizi di gioventù, sarà per la necessità di contenere l'incremento del girovita ma a casa mia si frigge poco, pochissimo, Natale, Capodanno, Carnevale e qualche altra occasione.
Così i miei figli hanno esultato all'invito della Cuochina, non che non mangino fritture, ma a casa di nonna, lontano dalla mia dieta :-)
La verità è che non so resistere alle fritturine, ed è risaputo che una cosa è mangiarne un pochino, magari già sistemato nel piatto, e una cosa è averne una cinquantina di pezzi a disposizione …. la prospettiva cambia :-)
Mamma ma tu che fai cosi tante cose buone perché non fai i panzarotti, mi raccconti sempre che ne avete fatti tanti con zia …. mi sa che non sai farli …. erano tutte storie …. nonna, si che li sa fare ” bisbigliava ogni tanto Angelo, tentatore.
Ma niente, neppure il paragone con la suocera poteva smuovere la mia determinazione :-)
Ci voleva l'invito della Cuochina :-)
Ed eccoci qui con l'appuntamento dei QUANTI, siamo in da Anna che prima in Svizzera poi in Toscana ha mantenuto forti le sue radici campane, prepareremo i suoi panzarotti, caldi ed evocativi, vero cibo dell'anima :-)
E i miei ragazzi? Soddisfattissimi, erano buoni come quelli di nonna :-)


1 kg di patate a pasta gialla
2 uova
100 g. di parmigiano grattugiato
sale
pepe
200 g. di mozzarella asciugata in frigo per un giorno
pangrattato

olio di arachidi per friggere

Lessare le patate in abbondante acqua salata, scolarle, lasciarle intiepidire, sbucciarle e passarle con lo schiacciapatate.
Sistemare la purea ottenuta in una capiente ciotola, unire le uova, il parmigiano, il sale ed il pepe. Impastare bene a lungo e con forza. Ne risulterà un impasto piuttosto sodo.
Tagliare la mozzarella a bastoncini.
Prendere una cucchiaiata di impasto, inserirvi il bastoncino di mozzarella, formare dei cilindri da cui assolutamente non deve fuoriuscire la mozzarella, passarli nel pangrattato in modo da impanarli uniformemente.
Sistemare i panzarotti in un vassoio e trasferirli in frigo coperti da uno strofinaccio (non la pellicola) per almeno una notte, devono asciugare.
Friggerli in abbondante olio a temperatura, caldo ma non troppo perché il panzarotti devono cuocersi bene anche all'interno, girandoli perché si dorino in maniera uniforme.
Servire caldi, con la mozzarella filante … attenzione scottano :-)
Freddi se restano, ma non è stato il nostro caso, sono buoni lo stesso :-)
  
E alla fine come è andata la mia dieta? …. dovevo fotografare, nel frattempo sono spariti tutti i panzarotti tranne i miei modelli, che, purtroppo, si sono dovuti sacrificare :-)


LA NOSTRA CUOCHINA

Il prossimo mese tutti da Susanna, prepareremo insieme i passatelli in brodo, la famiglia non vede l'ora :-)

Passatelli in brodo emiliano

sabato 9 aprile 2016

Zuppa di fave, piselli e patate, una vignarola campana

 
La vignarola è una fresca, invitante zuppa romana preparata con ortaggi primaverili, fave, piselli  e gli ultimi carciofi.
E' tipico della cucina contadina, povera e di sussistenza, concentrarsi su ciò che offre la terra, utilizzando gli ingredienti disponibili, magari raccolti al momento, seguendo la stagionalità.
Una zuppa di primizie di primavera esiste anche nella tradizione contadina campana dove insieme o, spesso, al posto dei carciofi sono inserite le patate, i carboidrati, che danno sostanza alla preparazione, rendendola piatto unico e, insieme, stemperano il gusto asprigno delle fave fresche, maggiormente evidente in quelle più mature e grosse destinate, appunto, alla zuppa.
Questa è la versione di casa mia.
Con questo post partecipo alla Giornata Nazionale della vignarola del Calendario del Cibo Italiano AIFB, origini, storia, ricette e tradizioni nell'articolo della nostra ambasciatrice Sara Sguerri che possiamo leggere qui, nella pagina dedicata al Calendario.

 
200 g. di fave sgusciate
200 g. di piselli sgusciati
3 patate grandi
100 g. di pancetta in una sola fetta ridotta a cubetti
1 cipolla bianca
sale
pepe
olio evo

In un capiente tegame lasciare appassire la cipolla affettata sottilmente in qualche giro di olio unire la pancetta, continuare ancora per qualche minuto quindi aggiungere le fave e i piselli. Lasciare insaporire delicatamente per 5 minuti, unire un bicchiere di acqua bollente quindi le patate tagliate a tocchetti, salare.
Cuocere a fuoco moderato, coperto, per circa mezz'ora aggiungendo, se necessario, poca acqua calda per ottenere, al termine, un composto umido ma assolutamente non brodoso.
Completare con una bella spolverata di pepe, 
servire.



http://www.aifb.it/calendario-del-cibo/





mercoledì 6 aprile 2016

Pavlova

 



Una scioglievole meringa incontra la soffice panna in un dolce abbraccio che si esalta nella pungente corposità del ribes, un candido incantesimo.
Irresistibile ….

meringa classica
125 g. di albume
125 g. di zucchero
250 g. di zucchero a velo

500 g. di panna
50 g. di zucchero a velo

ribes

Montare l'albume nella planetaria aggiungendo lo zucchero in tre tempi.
Setacciare lo zucchero a velo.
Quando l'albume sarà ben montato, unire a spatola, delicatamente, lo zucchero a velo.
Trasferire la meringa in un sac à poche.
In una teglia protetta da carta forno formare un disco di meringa contornato da tanti ciuffetti, a parte formare altri ciuffetti di meringa.
Infornare a 50° – 60° in forno statico già a temperatura per circa 20 minuti, o, comunque, il tempo necessario che si rassodino e si formi sulle meringhe, che devono restare bianche, una bella crosticina.
Sfornare e lasciare raffreddare.
Montare la panna con lo zucchero a velo.
Sistemare Riempire il disco di meringa con abbondante panna, sistemare sulla panna le meringhette, completare con i ribes, decorare con foglie di menta.