mercoledì 25 ottobre 2017

Fregula con arselle


Un piatto di pasta per nutrire il pianeta, questo è il tema della Giornata Mondiale della Pasta che si celebra oggi in tutto il mondo.
La pasta è una comune passione che unisce trasversalmente i continenti ma nello stesso tempo rappresenta, nelle sue innumerevoli sfaccettature, la base dell'alimentazione occidentale e orientale e fondamento di culture gastronomiche molteplici, singolari e differenti.
Quanta strada dai noodles agli spaghetti, tutta da esplorare! … e quanto è buona la pasta anche quando si impasticcia :-)
Il Calendario del Cibo Italiano si unisce ai festeggiamenti mettendo in vetrina le migliori specialità italiane.
Io ho preparato la fregula con le arselle un tipico piatto della cucina sarda per ricordare quanto la nostra cultura gastronomica si fonda sull'ingegno e il saper fare.
La fregula è semola, semola, acqua e sale come ricorda Alessandra sulnostro Calendario.
Una semola però trasformata, sublimata, non solo dalla pazienza e dalla sapiente manipolazione, una sorta di incocciamento comune alla lavorazione della semola nel bacino del nostro mediterraneo, ma dalla geniale tostatura che, irregolare, attribuisce alla pasta un gusto e una consistenza particolare, unica e irresistibile.
Ideale per la cottura risottata, la fregula si presta ad innumerevoli preparazioni, eccola in una delle versioni più conosciute.
Ho utilizzato il datterino giallo che attribuisce al piatto una lieve colorazione gialla, come nella ricetta sarda che prevede lo zafferano, e una fresca nota acidula che va a bilanciare la decisa e intrigante aromaticità "bruciata" della semola.
Con questo post partecipo alla Giornata Mondiale della Pasta del Calendario del Cibo Italiano.
 

Per 2 persone

140 g di fregula
250 g di frutti di mare (erano in prevalenza telline)
80 g. di datterini gialli (circa 12)
1 spicchio d'aglio
olio extravergine di oliva
mirto

La fregula con i frutti di mare si cucina in un altro modo, è spiegato nel Calendario.
Io però avevo un condimento caldo, dovevo mantecare, così ho modificato un po' la procedura. Del resto sono un'apprendista, sperimento, imparo e chiedo venia :-)
I frutti di mare vanno prima “spurgati” tenendoli in acqua leggermente salata per qualche ora quindi sciacquati bene.

Fare aprire i frutti di mare a fuoco vivace, coperto, in una padella nella quale oltre ai frutti avrete unito mezzo bicchierino d'acqua.
Togliere dal fuoco.
Raffreddare.
Sgusciare i frutti di mare tenendone da parte alcuni col guscio, mettere da parte.


Raccogliere e filtrare l'acqua di cottura, mettere parte.
In una capiente padella soffriggere aglio e olio, unire i pomodorini precedentemente lavati e tagliati a spicchi, salare leggermente, aromatizzare con qualche foglia di mirto.
Quando i pomodorini sono quasi cotti unire i frutti di mare e la loro acqua. Continuare la cottura ancora per qualche minuto. Il sugo deve essere denso ma piuttosto fluido.


Nel frattempo cuocere in abbondante acqua salata la fregula, scolare a cottura mantenendola piuttosto soda.
Unire la fregula al sugo, mantecandola a fuoco vivace. Regolare di sale.


Non è stato necessario aggiungere l'acqua di cottura della fregula che avevo tenuto da parte.
Decorare con mirto e servire.


lunedì 16 ottobre 2017

Taralli sugna e pepe per la Giornata Mondiale del Pane


Che dire dei taralli sono un monumento.
Street food per eccellenza, intimamente radicato nelle abitudini alimentari dei napoletani che, si sa, per secoli sono stati abituati a consumare cibo in strada, adeguando le proprie necessità al portafoglio, alla stagionalità e e a ciò che offriva la ristorazione. 
Uno street food per così dire necessitato.
Probabilmente di taralli se ne sono sempre fatti, una prammatica del Regno di Napoli, cita i taralli inseme a maccarune, ceppole (zeppole), vermicelli, susamelli, tra i prodotti di consumo comune per la popolazione napoletana attestandone quindi la risalente radicazione nei costumi alimentari di Napoli.

Fortunato tene 'a rrobba bella, 'nzogna nzò! 

Il richiamo del tarallaro Fortunato reso famoso dalla canzone di Pino Daniele.
 


Quanti tarallari nei secoli si sono avvicendati arrancando per i vicoli di Napoli con la loro sporta piena di prelibatezze a buon mercato democraticamente e forse un po' promiscuamente accessibili a tutti, paré ‘a sporta d”o tarallaro, tutti ci mettono le mani :-)

 credit: cibocampania.it

I taralli sono semplici da fare, soprattutto se si utilizza il lievito di birra mentre l'impiego del lievito madre impone qualche accortenza in più, ma tutto fattibile.
Il gioco vale la candela.

Taralli sugna a pepe a lievitazione naturale la ricetta è presa qui


120 g di lievito madre rinfrescato
280 g di farina tipo 0
120 g di sugna
100 g di acqua
100 g di mandorle sgusciate tritate grossolanamente,
5 g di pepe nero macinato grosso
6 g di sale fine.

Per la finitura:
50 g di mandorle sgusciate intere.

Nella planetaria, frusta a gancio velocità 1 – 2 incorporare la farina con lo solo strutto, risulterà un composto piuttosto granuloso. Unire il lievito madre spezzettato, l'acqua, il composto finale dovrà essere piuttosto sodo, eventualmente aggiungere altri 10 – 20 g di acqua se fosse necessario per compattare l'impasto ma non eccedere.
Impastare per qualche minuto, unire le mandorle tritate, il pepe e il sale. Lavorare poco.
L'impasto dovrà risultare compatto ma non estremamente liscio e uniforme.
Lievitare coperto in luogo caldo fino al raddoppio (nel mio caso 4 ore).
Stendere l'impasto su un piano leggermente infarinato, meglio se con le mani fino ad ottenere un quadrato di circa 2 cm di spessore da cui con l'aiuto di un tagliapasta ricavare 12 strisce.
Lavorare delicatamente ciascuna delle strisce a mò di cordone allungandola un po'.
Ripiegare ciascun cordone a metà su se stesso, arrotolarlo torcendolo delicatamente, chiudere unendo le estremità in modo da formare un tarallo, premere leggermente con le dita sul punto di chiusura.
Sistemarli su una teglia protetta da carta da forno, decorare con le mandorle intere.
Lasciare lievitare ancora un'oretta.
Cuocere in forno statico a 180° già a temperatura per circa 30 minuti. Attenzione devono prendere colore ma non bruciare.
Sfornare, riportare il forno a 90° rimettere i taralli in forno per un'altra mezz'ora.

Quindi all'attacco …
I taralli sugna e pepe a differenza di tutti gli altri tipi di tarallo si mangiano cauri cauri, appena usciti dal forno. Caldi sono da svenimento, un paradiso sensoriale molto terrestre :-)
L'unica controindicazione è il giro vita … rischiamo :-)

Per la versione dei taralli con lievito di birra vi rimando qui ad una delle mie maestre che interpreta altre mie maestre.
Bisogna sempre studiare :-)
http://www.calendariodelciboitaliano.it/


Anche il Calendario del Cibo Italiano si unisce con entusiasmo alla grande raccolta panosa che Zorra organizza ogni anno in occasione del World Bread Day per celebrare il più semplice ma nel contempo più popolare cibo che abbraccia ed unisce tutto il mondo nel suo inconfondibile e fragrante profumo.

L'immagine può contenere: sMS

 

Marquise al cioccolato fondente per The Recipe- tionist. Noblesse oblige



Voglio bene a Giuliana, lei è delle primissime blogger che ho conosciuto nei miei giri in rete, col mio neonato blogghino lei mi ha accolta subito, da amica.
Elegante, raffinata, una gran cuoca e una gran donna, il suo saper fare traspare tra righe delle sue ricette, studiate, elaborate, complesse, alta cucina, da intenditori.
Adoro i suoi racconti, il modo semplice, misurato ma allo stesso modo comunicativo e affascinante di porgere storie di vita.
Una vita forse in parte simile alla mia, tanta strada fatta.
Avrei voluto rifare i tuoi gnocchi Giuliana, quelli che facevi la domenica con mamma e papà, che poi, elaborati nel tempo sono divenuti piatti ricercati … poi ho scelto la marquise, ricordavo perfettamente la tua descrizione, i tuoi racconti, eravamo rimaste che l'avrei fatta senza arance, eccola qua, quasi come è uscita dal forno.
Consumata subito … mai espressione fu tanto appropriata per descrivere il deliquio voluttuoso che si nasconde in questo dolce che spero di aver accentuato con una nota piccantina.
Con questo post pubblicato in ritardo non partecipo a TheRecipe-tionist di settembre - ottobre 2017 ma abbraccio con affetto Giuliana le cui ricette non potevo esimermi di onorare.

Ricopio la sua ricetta con le mie variazioni

Per la marquise

350 g cioccolato fondente all'85%
200 g zucchero
3 cucchiai di latte
200 g burro
5 uova, divise
3 cucchiai colmi di farina
un pizzico di peperoncino habanero fatali

Per la teglia:
poco burro
poca farina
poco cacao

per la decorazione:
ribes
poco cacao amaro

Foderare di carta forno una tortiera da 22/24 cm facendo aderire bene la carta. Operazione che riesce meglio se prima si passa un poco di burro qua e là sul fondo della tortiera, la carta resterà ferma. Imburrare l'interno della carta. Miscelare velocemente 1 cucchiaio di farina con 1 di cacao e spolverare col composto la carta imburrata all'interno della tortiera.
Separare le uova raccogliendo gli albumi in una ciotola.
In un altra terrina lavorare i tuorli d'uovo con 100 gr di zucchero usando la frusta elettrica, fino ad avere un composto chiaro, gonfio e spumoso; unire la farina e il peperoncino. Amalgamare bene il composto.
Tritare grossolanamente a coltello il cioccolato. In un tegame mettere il restante zucchero e i 3 cucchiai colmi di latte, scaldare il tutto a fuoco dolce in modo da far sciogliere lo zucchero, quindi unire il cioccolato tritato, farlo fondere, quindi togliere il tegame dal fuoco, aggiungere il burro a temperatura ambiente, tagliato a pezzetti, lasciar sciogliere bene il tutto e mescolare per amalgamare bene.
Unire il composto di cioccolato e arancia al composto di uova, mescolare fino a che tutto è perfettamente liscio ed omogeneo.
Montare a neve soda le uova, poi incorporarle pian piano all'impasto preparato. Mescolare per amalgamare bene il tutto e versarlo nella tortiera precedentemente preparata.
Cuocere in un bagnomaria già caldo, con forno statico a 170° - 180° per circa un'ora, anche meno se usate lo stampo da 24.
Togliere il dolce dal forno, lasciarlo riposare una mezz'oretta, poi toglierlo dallo stampo.
Lasciarlo raffreddare completamente. Meglio se lo si prepara il giorno prima, così ha tutto il tempo di assestarsi e consolidarsi.
Spolverare leggermente il dolce con del cacao amaro, decorare con i ribes e servire.

Nella mia interpretazione che voglio raffinare per una ricetta in elaborazione i ribes no sevono solo da decorazione ma a equilibrare e pulire il gusto forte e deciso del cioccolato fondente amaro esaltato dalla piccantezza del peperoncino.
Poi vi faccio sapere … intanto sperimento :-)

http://www.cuocicucidici.com/2017/08/the-recipe-tionist-di-settembre-ottobre.html


lunedì 2 ottobre 2017

I peperoni imbottiti di nonna


Mia nonna non sapeva scrivere, solo il suo nome e poco altro.
Il nome lo storpiava volontariamente, non le piaceva, scriveva Sandra, non Santa, "ma che volete, ho sbagliato, non so scrivere tanto bene" :-)
Di ricette sue non ne ho, non poteva annotarle, preparava tutto ad occhio, sentiva gli impasti nelle mani, riconosceva le sfumature di colore e consistenza, percepiva il cibo, neppure lo assaggiava.
Se chiedevi ti spiegava seria seria, olio di gomito diceva, un po' ti faceva provare poi impaziente ti sostituiva. Mai che il lavoro andasse male, che non riuscisse, niente si deve sprecare.
Avevamo ampiamente superato gli anni del boom economico, che avevano in qualche modo sollevato anche la sua famiglia, eravamo all'inizio dell'edonismo rampante degli anni '80. Anche nonna aveva la sua TV a colori e la dispensa piena piena, ma il cibo continuava ad essere sacro, non andava sprecato, neppure una briciola, ma utilizzato e bene.
Si metteva in cucina, seria e pensosa come sempre, all'alba, lavorava, cucinava.  
Per lei la cucina era un lavoro, uno dei suoi tanti lavori. Se le facevi i complimenti per qualche suo piatto delizioso, non si scherniva neppure, seria seria continuava i suoi discorsi, però le brillavano gli occhi :-)
Il cibo è cibo serve a nutrire, costa fatica, alzatacce e denaro, non è un gioco.
Cucinare era un dovere, il duro dovere alimentare.
Nonna non conosceva Petronilla, non sapeva leggere, le signore ben vestite, quelle si, si potevano permettere la cuoca, la cameriera e pure il tempo per leggere i libri di cucina.
Anche per lei, come per le amichette di Petronilla, la cucina non era un piacere, un divertimento, ma solo fatica e preoccupazione, un dovere, a cui necessariamente assoggettarsi.
Farlo e farlo bene.
Nel tempo aveva affinato una routine nei menù e nelle conserve, ruotava come le amichette di Petronilla i piatti su base settimanale, alternando ingredienti e pietanze in maniera ragionata ed assennata.
La prelibatezza dei suoi piatti, frutto di anni di fatica ed affinamenti e, sicuramente, anche di errori e di affanni,  era funzionale al nutrimento dei suoi cari, non alla gioia del palato.
Aveva imparato a cucinare avanzi e alimenti di poco pregio,  non particolarmente gustosi in sé, trasformandoli in piatti buoni e prelibati, sempre più buoni e prelibati.
Nonna voleva nutrire, non stupire o estasiare  e per nutrire deliziava.
Quando poi le disponibilità economiche glielo concessero continuo a preparare gli stessi piatti, mantenendo gli stessi ritmi e la stessa routine ma utilizzando ingredienti di primissima qualità, il meglio per la famiglia, ora che poteva, e in abbondanza, creando così un vero paradiso sensoriale.
Tutto era buono nella sua cucina, la genovese, la bolognese come diceva lei con la vermutta dentro, il cattò di patate, la pasta al forno, la parmigiana, un pesto che, con buona pace dei genovesi, neppure i genovesi :-) la pasta con la salsa della domenica con tanto di braciole e polpette, e che erano le sue  polpette mitiche, uniche, inarrivabili, indescrivibili.
Tutto buono perché fatto con amore.
Oggi il Calendario del Cibo Italiano festeggia i nonni, ovviamente in cucina, io non potevo esimermi dal ricordare mia nonna che preparava delizie non amando, forse, neppure più di tanto il cucinare.
Amava la sua famiglia, a modo suo, come noi faceva del suo meglio, come poteva, con quello che aveva.
Lei non mi ha trasmesso la passione per la cucina che non aveva.
Nella sua cucina i miei occhi da bambina hanno visto oltre il mero adempimento dell'obbligo alimentare, scoprendo bellezza e magia  dove forse non c'era.
Forse era quello che la bambina voleva vedere. 
La cucina è libertà, divertimento, scoperta, voglia di mettersi in gioco e sperimentare.
Tutte cose che nonna non sapeva ma che grazie anche al suo piccolo mattoncino io ho potuto vivere e realizzare.
Cucino quando voglio, se voglio e cosa voglio, cucinare è scelta e passione.
Noi siamo le nipotine di Petronilla e le figlie della rivoluzione culinaria, siamo cresciute col Manuale di Nonna Papera e le ricette di Lisa Biondi, abbiamo vissuto l'edonismo culinario degli anni '80 e siamo sopravvissute, ora panifichiamo col lievito madre, ma anche no, come ci va, se ci va :-)
Cuciniamo per passione, per gioco, per scelta.
Ci piace cucinare e mangiare.
Non ricordo di aver mai visto mia nonna mangiare, cucinava delizie ma non le gustava. Mangiava poco e a parte. Forse non le piaceva.
La sua cena preferita: pane e arance. 

Per la giornata ho preparato i suoi peperoni imbottiti.
Suoi perché per quanto ne so io li faceva solo lei, nell'orbe terraqueo e webesco di uguali non ce ne sono che io sappia.
Un piatto di riciclo ma gustosissimo.
Ecco come trasformare due peperoni, magari stortarelli, in una nutriente e prelibata portata.
Noi diremmo piatto unico, per nonna era un secondo e lo offriva corredato da almeno due contorni da mangiare rigorosamente col pane.
Altre epoche, altri tempi, altre abitudini. L'amore si esprimeva col cibo, il nutrimento sostituiva coccole e attenzioni, nonostante tutto questo cibo (ehmm amore) ero magrolina come bambina, e per fortuna!

per 6 persone (due peperoni a testa)

12 peperoni
300 g di pane raffermo
2 taralli di Agerola tritati
6 uova
200 g di salame a fette piuttosto spesse e poi a pezzetti
300 g di olive verdi
400 g di provoloncino
100 g di parmigiano grattugiato
100 g di pecorino romano grattugiato
1 bicchiere di olio extravergine di oliva (circa 200 g)
sale
pepe

Ammollare il pane raffermo tagliato a fette, sgocciolarlo , spremerlo benissimo e sistemarlo in una capiente ciotola. Unire il tarallo tritato, le uova battute con il sale, i formaggi, il pepe e poco alla volta l'olio, impastare a lungo e con forza, olio di gomito come diceva la nonna. Il pane non si dovrà più sentire. L'impasto è pronto quando si otterrà un composto perfettamente amalgamato e omogeneo, unire il salame, il provoloncino e le olive tagliate a pezzetti. Assaggiare, regolare eventualmente di sale. Mettere da parte.
Lavare i peperoni, tagliare la calotta superiore preservandola, ci servirà da coperchio, svuotare dai semi, sciacquare bene, lasciare asciugare capovolto, riempire i peperoni con il composto, chiudere con una scorza di pane raffermo, coprire con la calotta superiore del peperone.
Sistemare i peperoni in una teglia protetta da carta forno,condirli con un filo d'olio.
Cuocere in forno ventilato già a temperatura a 180° per circa un'ora.
I peperoni dovranno cuocere perfettamente.
Sfornare. Lasciare leggermente intiepidire prima di servire.




http://www.calendariodelciboitaliano.it/